"Decisi di non
pensarci più e di fare quello che avrei dovuto fare tre mesi prima.
Entrai nella camera
oscura. Evan si stava asciugando le mani al lavello.
Chiusi la porta dietro
di me e mi ci appoggiai, incapace di muovermi. Lui lanciò l’asciugamano di
carta nel cestino e mi guardò, esitando per un secondo. Il mio petto fu scosso da un respiro
spropositato. Il mio cuore batteva freneticamente contro la camicia.
Lui mi lesse negli occhi
spalancati esattamente cosa volevo che facesse e si avvicinò a me. Gli avvolsi
le braccia al collo e mi tirò verso di lui. Mi misi sulla punta dei piedi,
allungandomi per trovarlo. Lui mi strinse mentre apriva le labbra, e io sentii il calore del suo
respiro.
Il mio cuore lasciò
andare un’ondata che mi tolse il respiro quando sentii la sua lingua morbida.
Le sue labbra erano decise ma gentili, schiacciate contro le mie in un ritmo
lento e senza fiato. Piccole scintille mi volavano nella testa e giù per la
schiena – le gambe mi tremavano.
Abbassai la testa sul suo petto prima che le gambe mi cedessero. Lui
continuò ad abbracciarmi, appoggiando il mento sulla mia fronte, mentre io
sentivo il suo battito accelerato e i sospiri profondi. Mi asciugai una lacrima
sfuggita dagli occhi, cercando di ricordare come si faceva a respirare.
«Valeva la pena di aspettare», sussurrò lui, e
poi aggiunse con sarcasmo:
«Ti sono mancato,
eh?».
Guardai il suo sorriso
perfetto e risposi con un sorriso ironico: «Sono sopravvissuta».
«Ho sentito». Lo spinsi via e lo guardai con sospetto.
«Ho ancora degli amici
qui». Scrollò le spalle. In quel momento suonò la campanella, dichiarando la
fine della giornata scolastica.
«Che vuoi fare? Vuoi andare a casa?»
«In realtà resto a dormire da Sara
stanotte».
«Davvero?», chiese
Evan, alzando le sopracciglia con un sorriso cauto.
«Pensi che a Sara
importerà se ti rapisco per un paio d’ore?».
Si appoggiò con
noncuranza alla porta mentre io andavo al lavello per pulirmi le sue impronte
dalla faccia. Il mio cuore si fermò.
«Um, penso che non ci
siano problemi», risposi, girandomi verso di lui.
«Cos’ hai in
mente?».
«Dobbiamo parlare.
Voglio dire, non avrei potuto chiedere un modo migliore di essere accolto, ma devo
dirti un po’ di cose prima che ci siano altri fraintendimenti». Trasalii.
Non potevamo fermarci
alla perfetta accoglienza? Il mio stomaco si chiuse, per paura di quello che
doveva dire lui. Potevo solo immaginarlo, anche se non poteva essere peggio di
quello che mi ero detta da quando se n’era andato.
«Quindi sei tornato?»,
domandai incuriosita.
«Già». Sorrise.
«Avremo modo di parlarne».
«Fantastico», sbuffai,
chiudendomi la felpa per nascondere le impronte blu e le macchie di verde sulla
mia camicia.
Evan rise. «Non essere
nervosa. Sono qui, giusto?».
Mi afferrò la mano, e
il calore del suo tocco si diffuse in tutto il mio braccio."
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